martedì 2 febbraio 2016

Ave Maria, di Sinan Antoon, Iraq

Ave Maria, di Sinan Antoon, Iraq



Romanzo drammatico, affronta la questione delle minoranze religiose in Iraq dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. In particolare, è trattato il tema delle sorti della minoranza cristiana.
Il libro ci consegna uno spaccato dell’Iraq negli anni seguenti la caduta di Saddam e l’invasione americana, presentando un argomento drammaticamente attuale.


AUTORE :
 
Sinan Antoon è nato nel 1967 a Baghdad, da padre iracheno e da madre americana. Nel 1990 ha conseguito la laurea in Letteratura inglese all’Università di Baghdad. Nel 1991 ha lasciato l’Iraq per trasferirsi negli Stati Uniti, dove ha conseguito un master in Studi Arabi alla Georgetown University nel 1995. Nel 2006 ha conseguito il dottorato in Studi Islamici alla Harvard University. Poeta, scrittore e traduttore, è autore di diverse raccolte e romanzi.
In italiano   è stato tradotto il romanzo Rapsodia irachena, Feltrinelli, 2010.
Il romanzo qui presentato, Ave Maria è giunto finalista all’IPAF (Arabic Booker Prize) del 2013. 
 
 
TRAMA                               
  L’azione si svolge a Baghdad, nell’epoca successiva alla caduta del regime di Saddam Hussein e all’invasione americana.

  Gli eventi narrati nel romanzo si svolgono nell’arco di una sola giornata, e prendono spunto da un fatto realmente accaduto nel 2010, nella chiesa di Nostra Signora del Soccorso, a Baghdad..

  Yussef è un iracheno cristiano sulla settantina, vive solo in una grande casa. Ospita così una coppia di giovani sposi, Luay e Maha, anch’essi cristiani, che hanno perduto la propria abitazione.

  La convivenza mette subito in luce le divergenze tra le generazioni: mentre Yussef vive con il pensiero rivolto al passato, rifiutando di emigrare e di lasciare la casa che ha costruito e in cui ha vissuto per mezzo secolo, Maha è una giovane donna la cui vita è stata sconvolta dalla violenza settaria: è stata infatti separata dalla propria famiglia, ha perduto la casa, vive come una rifugiata nel proprio paese, alloggiata in casa di Yussef. Aspetta solo di terminare gli studi per poi emigrare con il marito da un paese in cui non si trova più a proprio agio, ma in cui si sente una straniera in patria. Mentre Yussef ha conosciuto decenni di pace e di benessere, sia pure sotto il tallone della dittatura, Luay e Maha sono cresciuti in un paese in guerra, sconvolto dall’invasione americana, lacerato dalla guerra civile e dalle lotte tra minoranze etniche e confessioni religiose.

  I tre ascoltano dalla televisione la notizia della condanna a morte di Tareq Aziz, l’ex vicepresidente del regime di Saddam Hussein. La notizia provoca un’accesa discussione: Maha è convinta che Tareq Aziz sia stato condannato alla pena capitale in quanto cristiano, non in quanto primo collaboratore del deposto dittatore. Maha teme che Aziz sarà solo la prima vittima della violenza settaria e che tutti i cristiani d’Iraq finiranno sterminati. Yussef ribatte che i cristiani sono presenti in Iraq da secoli, che l’Iraq è la patria comune di cristiani e musulmani, che nessuno potrà mai scacciare i cristiani dal paese o farne oggetto di persecuzioni. La discussione si protrae e si acuisce. Innervosita, Maha lascia la stanza con parole dure per Yussef, accusandolo di essere troppo anziano per capire gli eventi che si svolgono sotto i loro occhi.

 

  Più tardi, la giovane si pente della propria asprezza e desidera scusarsi con Yussef: per farsi perdonare, decide di preparargli per cena il suo piatto preferito.

  Ma il desiderio di Maha è destinato a non realizzarsi: è domenica, e i tre si recano in chiesa per la Messa, nella basilica di Nostra Signora del Soccorso, nel centro di Baghdad.

  La chiesa è affollata di cristiani raccolti in preghiera; all’improvviso, un gruppo di terroristi islamici irrompe nel luogo sacro, sparando sui fedeli. Alcune persone, colpite, cadono. I terroristi prendono in ostaggio un piccolo gruppo di cristiani, fra i quali Yussef e Maha. L’uomo abbozza una reazione, ma è colpito dai terroristi: quattro pallottole trafiggono il suo corpo. L’ultima frase di Yussef, prima di spirare, è un’invocazione alla Madonna, ”Ave Maria”.

  I terroristi porgono un cellulare a Maha, imponendole di telefonare a un canale satellitare arabo per comunicare le intenzioni del gruppo e le condizioni per il rilascio degli ostaggi. Mentre la giovane si appresta a eseguire gli ordini, un’unità scelta dell’esercito iracheno irrompe nella chiesa e, con un’azione fulminea, uccide i terroristi e libera gli ostaggi. Maha si rende conto con amarezza che l’obiettivo dei militari non era quello di salvare i cristiani, ma piuttosto quello di condurre un’azione brillante da mostrare sui media.

  Il cadavere di Yussef rimane diverse ore riverso sul pavimento della chiesa, in una pozza di sangue, mentre la squadra dell’antiterrorismo, che ha condotto il blitz, ha filmato ogni fase dell’operazione per postare il video su You Tube, facendo attenzione a escludere il corpo d Yussef dal filmato .

  A Maha e a suo marito non resta che l’esilio.
 
 
OPINIONE
 
 
Un romanzo amaro e attualissimo, che offre infatti un vivido spaccato della società irachena dei nostri giorni, affrontando l’attualissima questione delle confessioni minoritarie in Iraq, e soprattutto della minoranza cristiana.
  L’altro tema trattato è quello del confronto generazionale: mentre la generazione matura non ammette la violenza, rifiuta categoricamente l’idea di dover convivere con essa, ma non riesce neppure a pensare alla propria migrazione verso terre lontane, la generazione giovane è cresciuta durante la guerra e l’invasione, è abituata al sangue, ai soprusi e alle lotte intestine, non si fa illusioni sul futuro e progetta quindi l’esilio, come unica alternativa alla morte violenta.
  Un romanzo drammaticamente attuale, che sarebbe bello poter leggere presto in italiano.  
 
 

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